La pandemia di Covid-19 ha trasformato profondamente i modelli di business globali, inducendo molte aziende, comprese quelle svizzere, ad adottare il telelavoro. Questa trasformazione ha sollevato questioni legate alla stabile organizzazione, specialmente per i lavoratori frontalieri. Quando un lavoratore, residente in Italia e impiegato da una società svizzera, opera in telelavoro, si possono creare conflitti fiscali tra i due Stati.
La stabile organizzazione indica una presenza economica significativa di un’impresa non residente in un altro Stato, permettendo a quest’ultimo di tassare i redditi prodotti. La Legge federale svizzera sull’imposta diretta definisce la stabile organizzazione come una sede fissa dove si svolge in parte o totalmente l’attività dell’impresa. Analogamente, l’OCSE fornisce linee guida per identificare la stabile organizzazione, distinguendo tra organizzazione materiale e personale. L’adozione del telelavoro da parte dei frontalieri può portare alla configurazione di una stabile organizzazione in Italia, dove il dipendente risiede. Le autorità fiscali italiane potrebbero contestare l’esistenza di una stabile organizzazione presso il domicilio del telelavoratore, imponendo tassazioni sui redditi dell’impresa svizzera.
Nonostante gli accordi raggiunti per regolamentare il telelavoro dei frontalieri, resta il rischio che le aziende svizzere vedano tassati i propri utili dall’Italia, in assenza di una chiara esclusione della stabile organizzazione nei nuovi accordi. Definire criteri oggettivi all’interno delle convenzioni bilaterali potrebbe risolvere queste controversie.
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Antonella Gilardoni